Questa timeline segna il tempo di Guglielmo e dell’Abbazia mostrandocelo dal I sec. a.C. al fino ad oggi.
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Questa timeline segna il tempo di Guglielmo e dell’Abbazia mostrandocelo dal I sec. a.C. al fino ad oggi.
L’area del Goleto, nell'attuale territorio del comune di Sant'Angelo dei Lombardi, presso le sorgenti dell’Ofanto, è stata identificata, a partire dal I sec. d.C., con i resti del monumento sepolcrale che vi costruì Marcus Paccius Marcellus della tribù Galeria, primipilare (il più elevato in rango dei centurioni) della IV Legione Scitica romana.
Già dal Paleolitico l'area è stata interessata dalla presenza dell'uomo, poiché la sua collocazione geografica, varco della catena appenninica dei monti Picentini, ne ha fatto una tappa obbligata per il passaggio più breve tra il Tirreno e l'Adriatico. La viabilità lungo il fiume Ofanto e l’abbondanza di acque sorgive ne hanno sempre fatto un luogo di sosta e di ristoro durante le transumanze, i pellegrinaggi e gli scambi commerciali tra l'antica Picentia, avamposto meridionale degli Etruschi (golfo di Salerno, Paestum), e il Santuario dell’Arcangelo Michele, santuario dei Longobardi (golfo di Manfredonia, Gargano). L'insediamento di tribù sannitiche intorno alle sorgenti dei fiumi Ofanto, Sele e Calore, contribuì a definire l'identità del territorio altirpino che prese il nome dalla tribù degli Hirpini, traendo l'etimo dal sannita hirpus “lupo”.
Nel racconto agiografico, Guglielmo, nato attorno al 1085, a 14 anni decise di abbandonare la famiglia e i luoghi natali per recarsi in pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Il suo proposito era di vivere solo di pane e acqua, di dormire sulla nuda terra e di mantenere il silenzio durante le ore notturne, come i monaci.
Non si conoscono, con certezza, né la data né il luogo di nascita, né la famiglia da cui Guglielmo ebbe origine; le fonti medievali lo designano sempre con il toponimo ‘da Vercelli’. Storici locali, rifacendosi a Tito Livio (XXIII, 37), collocano invece la sua nascita in Irpinia, in una località chiamata Vecellium, tra Bagnoli, Nusco e Montella. A 14 anni fa una cosa simile a quella che Francesco più di cento anni dopo compirà ad Assisi: si libera degli orpelli del suo casato, indossa un saio grezzo e parte, calzando solo i suoi piedi nudi. La tomba dell’apostolo Giacomo era una tappa obbligata di pellegrinaggio per un uomo dell’anno Mille.
Intorno al 1118 Guglielmo si stabilì sul monte Partenio, in prossimità di una sorgente d’acqua; qui si formò una prima comunità fra cui anche alcuni sacerdoti che avevano scelto di sottomettersi al suo magistero. Vi costruì una chiesa che nell’anno 1124 fu consacrata in onore di Maria Vergine.
Concluso il pellegrinaggio in Galizia, e visitate le tombe degli apostoli Pietro e Paolo a Roma, Guglielmo decise di completare il suo pellegrinaggio recandosi a Gerusalemme. Seguì pertanto la via Appia verso la Puglia e soggiornò per qualche tempo a Melfi. Allontanatosi da Melfi, raggiunse Atella, ove visse per due anni e conducendo vita eremitica sul monte Serico, in prossimità dei laghi di Monticchio. Qui, secondo la ‘Legenda’, avrebbe compiuto il suo primo miracolo, guarendo un cieco. Determinato comunque a recarsi in Terrasanta, a Oria, a metà strada tra i porti di Taranto e Brindisi, fu assalito da malviventi che lo ridussero in fin di vita. Giovanni da Matera, in un primo incontro, gli predisse il suo futuro ruolo di fondatore di una congregazione monastica. Ritornato sui suoi passi, Guglielmo raggiunse la città di Atripalda, in Irpinia, dove apprese che il monte sopra Mercogliano (1.200 metri di altitudine), era adatto a condurre "solitariam vitam”.
Guglielmo fondò qui la Congregazione verginiana dell'Ordine di San Benedetto (Congregatio Montis Virginis ordinis S. Benedicti) che fiorì durante tutto il regno normanno ed ebbe il suo massimo splendore tra il 12° e la prima metà del 14° sec.; la congregazione fu unita nel 1879 a quella cassinese della primitiva osservanza, oggi nota come Congregazione sublacense.
Guglielmo, tra 1128 e il 1129, a causa delle diversità di vedute con i monaci stanziali, abbandonò Montevergine, seguito solo da cinque confratelli, per riprendere la vita eremitica e penitenziale. Raggiunse il monte Laceno, sopra Bagnoli Irpino, dov’è un’ampia grotta sul lago, detta tuttora dell’Apparizione.
A causa del clima rigido e del vitto scarso (il lago del Laceno si trova a 1.000 metri di altitudine), i confratelli si allontanarono e Guglielmo restò solo. Di nuovo fu visitato da Giovanni da Matera, che volle fermarsi per qualche tempo, e i due ebbero la grazia di vedere Gesù Cristo in vesti candide che impose loro di allontanarsi dal monte in quanto la loro opera era necessaria in altri luoghi. Abbandonato il Laceno, i due eremiti si divisero: Giovanni si recò sul monte Gargano, in Puglia, mentre Guglielmo si stabilì sul monte Cognato (Serra Cognata) alla destra del Basento, nelle vicinanze di Tricarico e di Pietrapertosa. Ben presto però egli si allontanò anche da lì, dove era operante una piccola comunità a lui legata, per raggiungere "Munticulum", un borgo in prossimità delle sorgenti dell'Ofanto e del Fredane, ubicato tra Sant’Angelo dei Lombardi e Rocca San Felice.
Nella piana del Goleto, tra il 1133 e il 1134, col favore di Ruggiero di Monticchio (signore del luogo che gli donò il terreno) e del vescovo di Sant'Angelo dei Lombardi, utilizzando -certamente- il cospicuo materiale di spoglio dell'insediamento di epoca romana, Guglielmo costruì una chiesa dedicata al Ss. Salvatore.
Intorno alla chiesa, ideò e realizzò un doppio monastero in cui ospitare in prevalenza monache da una parte e monaci dall’altra; questo progetto, che architettonicamente si configura attorno ai due chiostri che fanno perno sulla chiesa del Ss. Salvatore, inserisce Guglielmo tra i riformatori monastici più aperti del XII secolo. Alle monache del Goleto, con a capo un’abbadessa, impose una serie di consuetudini, quali il rifiuto totale della carne, delle uova e del formaggio. Per tre giorni la settimana le consorelle avrebbero mangiato solo pane, frutta e ortaggi crudi, mentre nei rimanenti tre giorni avrebbero potuto condire il pane e gli ortaggi con l'olio; inoltre, dal 1° novembre a Natale e per tutta la quaresima, sino a Pasqua, era prevista solo un'alimentazione a pane e acqua; era concesso mangiare, al posto del pane, i legumi e gli ortaggi.
Dopo otto anni trascorsi al Goleto, Guglielmo, ammalatosi, volle essere deposto davanti alla croce e, nella notte del 24 giugno 1142, spirò. Il suo corpo rimase venerato nell’Abbazia del Goleto, fino al 1807, quando, a causa della soppressione napoleonica, fu traslato nell'Abbazia di Montevergine.
Durante gli ultimi anni della sua vita, Guglielmo svolse un ruolo importante nel contesto politico e religioso delle regioni meridionali. Fu stimato e appoggiato nella sua opera di evangelizzazione da Ruggiero II, re di Sicilia, padre di Costanza d’Altavilla (futura madre di Federico II di Svevia). Fu canonizzato santo da Papa Pio VI nel 1785 mentre Papa Pio XII, nel 1142 (a 800 anni dalla morte), lo proclamò Patrono Primario d’Irpinia. Un’imponente statua in marmo bianco di Carrara lo raffigura nel transetto meridionale della Basilica di S. Pietro in Vaticano, ricordandolo tra i principali santi fondatori di ordini monastici. La sua ricorrenza si celebra il 25 giugno ed è festeggiato sia nella contrada San Guglielmo di Sant’Angelo dei Lombardi che a Montevergine.
San Guglielmo è spesso raffigurato in compagnia di un lupo. La leggenda riporta che un asino lo aiutava a trasportare pietre da costruzione; un giorno l’asino venne sbranato da un lupo al quale Guglielmo ordinò di farsi carico delle pietre. Il lupo è simbolico delle genti irpine: l'etnonimo primordiale Hirpini derivava dall'osco hirpus (ossia "lupo").
Febronia, nel 1152, fece sopraelevare (o ristrutturò) i resti dell’antico mausoleo romano come torre quadrangolare di sicurezza sia per custodirvi beni preziosi che come luogo di avvistamento, rifugio e difesa; la torre costituisce uno dei rari esempi di opere fortificate all’interno di complessi monastici.
Nel monastero doppio, realizzato da Guglielmo, vi erano il convento femminile e quello maschile i cui monaci erano dediti ad officiare la chiesa e a rappresentare le badesse nelle controversie giudiziarie e al di fuori della clausura. Alla morte di Guglielmo (1142), il governo dell'Abbazia passò alla badessa Febronia, la più nobile delle monache dell’epoca, molte delle quali provenivano dalle famiglie più illustri del Regno di Napoli. Al Goleto si strutturò in breve un’abbazia ‘nullius diocesis’, posta cioè al di fuori della giurisdizione della chiesa locale e direttamente dipendente dal papa. Sottraendo il monastero e le proprie dipendenze alla 'vicina' autorità vescovile, si garantì quindi una sorta di protezione contro le usurpazioni civili ed ecclesiastiche.
La chiesa di S. Luca, gioiello dell’Abbazia, è uno dei più preziosi monumenti dell'intera Italia meridionale: forme artistiche diverse, che riportano influenze gotiche, pugliesi, cistercensi, federiciane, danno vita ad una sobria e luminosa architettura strutturata su 12 colonne e con 2 absidi rivolte ad est. Emile Bertaux (1879-1917), autore della monumentale “L'art dans l'Italie mèridionale” (Parigi, 1904) fu il primo a individuare un rapporto di continuità stilistica tra il federiciano Castel del Monte (iniziato nel 1240) e la chiesa di S. Luca, ultimata nel 1255; e tra questa e l'Hotel Dieu di Reims in Francia, sottolineando la valenza artistica ed europea del complesso monastico del Goleto.
Il culmine dello splendore artistico del Goleto fu raggiunto sotto il governo delle badesse Marina II e Scolastica con la costruzione (iniziata nel 1235 e conclusa nel 1255) della Chiesa superiore, dedicata a San Luca, a cui lavorarono le maestranze di Federico II e nella quale fu collocata la preziosa reliquia del braccio dell’evangelista.
La struttura primitiva dell’Abbazia comprendeva la chiesa del Ss. Salvatore – addossata ai resti del mausoleo romano e con l’abside rivolta ad oriente –, il monastero delle monache sul lato est e quello più piccolo dei monaci ad ovest. Superato l’arco d’ingresso al termine del viale, un passaggio porticato (sul lato destro) conduceva al convento femminile che era strutturato su due livelli e articolato su tre lati; qui, oltre alle numerose celle, vi erano la sala per le riunioni capitolari, il refettorio, l'infermeria, il noviziato e un giardino con al centro un pozzo. Sotto la guida di celebri abbadesse – Febronia, Marina I e Marina II, Agnese e Scolastica – la comunità religiosa crebbe e diventò famosa sia per la santità delle monache che per il considerevole aumento dei beni acquisiti quali terreni, chiese, libri e opere artistiche.
Dal 1348, anno della peste nera, iniziò una lenta inesorabile decadenza dell’Abbazia del Goleto. Papa Giulio II, il 24 gennaio 1506, decretò la soppressione dell’ordine femminile che, di fatto, avvenne con la morte dell'ultima abbadessa nel 1515.
Il complesso abbaziale fu unito a quello di Montevergine che si impegnò ad assicurare la presenza di alcuni monaci. Una significativa ripresa si ebbe sotto il pontificato di Papa Sisto V; originario di Montalto Marche, apparteneva all’ordine dei minori conventuali, che nel XIII sec. avevano fondato un importante monastero a Sant’Angelo dei Lombardi; i futuri papi Sisto V e Clemente XIV vi avevano qui dimorato. Salito sul soglio pontificio nel 1585, Sisto V, memore della bellezza e dell’importanza storica del Goleto, diede impulso e sostegno alla ripresa della vita monastica nell’Abbazia.
Al Goleto, il Vaccaro costruì, tra il 1735 e il 1745, una vasta e sontuosa chiesa barocca adattandosi alle rovine lasciate dal sisma e utilizzando – molto probabilmente – il piano fondale di quanto restava dell’insediamento di epoca romana; la grande chiesa è a croce greca allungata verso l’abside ed era sormontata da una vasta copertura lignea con una sottostante cupola ribassata.
A seguito dei terremoti distruttivi del 1694 e del 1732 fu commissionato il restauro completo del complesso monastico e la costruzione di una nuova grande chiesa dedicata al Ss. Salvatore all’insigne architetto e artista napoletano Domenico Antonio Vaccaro (1678-1745). Vaccaro è conosciuto nella storia dell’arte per il suo splendido barocco scenografico, e in particolare per il chiostro maiolicato di Santa Chiara a Napoli. Tra le sue più importanti opere si ricordano anche la Chiesa di San Michele Arcangelo ad Anacapri, e soprattutto, la Chiesa della Concezione a Montecalvario, a Napoli; restaurò, inoltre, in chiave barocca la chiesa di Santa Chiara e la chiesa di San Domenico Maggiore. In Irpinia, a Mercogliano, ideò per conto degli stessi monaci di Montevergine il sontuoso Palazzo Abbaziale di Loreto.
Quest’ultima fu quasi certamente realizzata col metodo ad incannucciata; la vasta costruzione venne arricchita da blocchi di pietra squadrata (nel pronao e in vari cantonali), unitamente a portali lapidei, altari policromi, sculture, dipinti e opere lignee; le pareti perimetrali interne vennero rifinite con vasti e importanti stucchi decorativi (nonostante 250 anni rimasti esposti alle intemperie si sono in parte conservati e da poco restaurati). La grande chiesa, detta anche del ‘Vaccaro, si presenta oggi con ruderi perimetrali e a cielo aperto, priva delle coperture; nel 2024, al fine di un miglioramento strutturale, sono stati ricostruiti i 4 grandi archi centrali su progetto dell’arch. Angelo Verderosa.
Nel 1807, Giuseppe Bonaparte (1768-1844), da poco nuovo re di Napoli e fratello maggiore di Napoleone Bonaparte, soppresse le congregazioni religiose confiscandone i beni. Le spoglie di S. Guglielmo furono traslate dal Goleto a Montevergine.
Le opere artistiche dell’Abbazia, compreso gli altari e i portali lapidei, furono messe all’asta tra i paesi vicini. Il complesso architettonico, spogliato e abbandonato, finanche privato delle coperture lignee, divenne in breve tempo luogo di rovi, di ruderi e di pascolo. Dei ‘casali’ – architettura di impronta rurale, a sinistra del viale di ingresso – se ne appropriarono i contadini del luogo che ne fecero abitazioni e stalle per il bestiame.
L’Abbazia fu di nuovo riaperta con l’arrivo – il 21 agosto 1973 – di P. Lucio Maria De Marino (1912-1992), monaco verginiano che riportò con fede e tenacia l'attenzione sull’esigenza del recupero materiale e spirituale del Goleto.
L’Arcidiocesi di Sant’Angelo dei Lombardi, in precedenza, sia nel 1832 che nel 1903 (con l’Arcivescovo Tomasi) aveva provato –inutilmente – a riaprire il monastero.
Nel 1975, grazie all’attiva presenza di P. Lucio, fu prima sventato un devastante progetto del Provveditorato per realizzarvi alcune attrezzature sportive e poi avviato un primo lotto di lavori, ben documentati in manoscritti e foto, quali: la ricostruzione della foresteria adiacente alla chiesa di S. Luca, la liberazione del chiostro da masse di terreno e la riattazione del piano terra del convento femminile quale aula liturgica. Nemmeno il sisma del 1980 interruppe la sua opera e quando – per motivi di salute – nel 1987 dovette ritirarsi a Montevergine, l'opera di restauro e valorizzazione del Goleto era ormai ben avviata. La memoria di P. Lucio, come secondo fondatore del Goleto, è in benedizione.
Col terremoto del 1980 si aggiunsero nuove rovine a quelle preesistenti; crollarono i grandi archi della chiesa del Vaccaro, fu seriamente compromessa la struttura muraria della chiesa di S. Luca, si staccarono alcuni affreschi; molte murature si ribaltarono. Tutto sembrava ormai perduto…
L’Abbazia del Goleto ha condiviso le difficili sorti di tanti piccoli paesi in una terra montuosa e ballerina. Danni notevoli al complesso abbaziale erano già stati inferti a seguito dei terremoti del 1694 e del 1732; e poi del 1733 (Calabritto) e del 1794 (Ariano Irpino); e poi, ancora, del 1853 e del 1893 (che colpì particolarmente la Lucania); fino al terribile terremoto del 23 novembre 1980 che, nonostante l’immane tragedia, ha avuto il merito di riportare l’attenzione su un bene monumentale di primaria importanza, dando vita ad un lungo processo di recupero e di valorizzazione, in buona parte concluso solo di recente, 44 anni dopo.
Nel gennaio del 1981, per il consolidamento statico della chiesa di S. Luca, intervenne la facoltà di Architettura di Firenze col Prof. Salvatore Di Pasquale. Successivamente, fino al 1992 ca., i lavori furono portati avanti dalla Soprintendenza di Avellino e Salerno.
Furono realizzati la ricostruzione dell’ex convento maschile, il consolidamento dei ruderi della chiesa del Vaccaro, la capitozzarura dei ruderi e la sistemazione a terrazzo del secondo livello dell’ex convento femminile, lo smontaggio con conseguente ricostruzione di alcuni casali e la sistemazione a giardino del chiostro femminile. Varie furono le critiche avverse a questi primi lavori classificati di ‘ricostruzione’ più che di ‘restauro’; ne scrisse nel 1990, in Napoli Nobilissima, Luigi Guerriero.
<<Il corpo di fabbrica a ‘L’ che ospitava il monastero maschile è stato radicalmente trasformato dagli interventi che in questi mesi si vanno completando… si è operata una grossolana falsificazione… Il monastero maschile è ora interamente occupato da due scale… Le invasive strutture ascensionali hanno determinato la distruzione del suo interno, trasformato quasi interamente in uno spazio di risulta… Tra i ruderi della chiesa grande sono stati rifatti, all’interno un pavimento in cotto e, innanzi al portico, la scala a doppia rampa della facciata, cancellando i resti dell’opera delineata dal Vaccaro, caratterizzata da una diversa curvatura>>.
Nel 1990 giunsero al Goleto i Piccoli Fratelli della Comunità Jesus Caritas, ispirata a Charles De Foucauld.
Grazie alle Piccole Sorelle di Gesù, presenti a Lioni nel dopo terremoto, e all’interessamento dell’arcivescovo Antonio Nuzzi, la piccola comunità fondata e guidata da Fr. Gian Carlo Sibilia, dopo Sassovivo a Foligno aprì la seconda casa al Goleto. Qui hanno operato per 31 anni, fino al 18 luglio 2021, testimoniando una profonda spiritualità nel segno di S. Charles de Foucauld. Il silenzio, la sobrietà, l’accoglienza, la preghiera e la cura meticolosa degli spazi dell’Abbazia hanno contraddistinto in maniera indelebile la presenza dei Piccoli Fratelli. Tra loro, abitanti curatori del Goleto, ricordiamo Fr. Wilfried Krieger (1943-2020), Fr. Paolo Onori (1955-2019), Fr. Piero Saffirio (1946-2018), Fr. Oswaldo Curuchich (1972-2023), Fr. Roberto Danti (oggi a Nazareth) e Fr. Paolo Maria Barducci (oggi a Foligno).
Una seconda, approfondita, campagna di restauri (co-finanziata dal POR Campania 2000-2006, sulla scorta di un accordo di programma tra Soprintendenza, Comune e Arcidiocesi) è stata condotta, tra il 2001 e il 2007, dall’arch. Angelo Verderosa, in qualità di progettista e direttore dei lavori.
Così ne ha scritto Diego Lama ne ‘Il Giornale dell'Architettura’, nel 2009 <<Sul posto si ha la sensazione che il restauro dell'Abbazia del Goleto abbia dato vita a un cantiere complesso e intenso, quasi mistico. Nel Goleto non è stato semplicemente attivato un gesto costruttivo, un fatto edilizio: è stato innescato un processo rigenerativo di un luogo, di una collettività, di un paesaggio>>. Per la qualità dei risultati raggiunti, le opere realizzate sono state inserite nel “Censimento nazionale delle Architetture Italiane del secondo dopoguerra” da parte del Ministero dei Beni Culturali (dal 2018); sono state, inoltre, oggetto di pubblicazioni e premi nazionali di architettura. Tra le varie opere realizzate in quegli anni: la parziale ricostruzione del primo livello dell’ex convento femminile (quale alloggio a servizio della comunità dei Piccoli Fratelli), la copertura dei corpi laterali alla grande chiesa del Vaccaro, il recupero del casale detto ‘Diocesano’ quale sala convegni mentre all’esterno è stato realizzato un ampio piazzale lastricato con ciottoli e pietra irpina lavorata.
Con la terza, recente, campagna di restauri (progetto 2018, ultimazione lavori 2024), co-finanziata dalla Regione Campania su fondi destinati alle aree SNAI, sono stati ricostruiti i 4 grandi archi crollati a seguito del terremoto del 1980, dando maggiore stabilità strutturale al complesso degli imponenti ruderi a cielo aperto.
Condotta in continuità con la precedente campagna di restauri, dallo stesso arch. Verderosa, oltre i 4 grandi archi ricostruiti nella chiesa del Vaccaro, ha reso funzionali gli ex-casali - unificando i percorsi interni e collegando tra loro i due livell i- costituendo una foresteria con 20 posti letto. Previa la realizzazione di una copertura sovrastante il corpo della ex-Biblioteca, in sostituzione dei terrazzi - impropriamente realizzati negli anni ’90 -, sono stati realizzati l’info-point e l’area multimediale, dedicata alla conoscenza della vita di Guglielmo e della millenaria storia dell’Abbazia. Numerosi e puntuali gli accorgimenti che sono stati adottati per favorire la visita del complesso da parte di portatori di handicap. Ai fini della sostenibilità ambientale e della riduzione dei consumi energetici sono stati realizzati un impianto fotovoltaico, due impianti solare-termico, tre impianti a pompa di calore e il rewamping dell’intero sistema illuminotecnico. Sono state ristrutturate l’aula liturgica -dedicata a S. Guglielmo- e le due sale convegni, dotandole di arredi e attrezzature audio-video. Le ex-sacrestie, annesse alla chiesa del Vaccaro, sono state dotate di arredi museali. Sul lato ovest è stata riqualificata un’estesa area-giardino. Sono stati infine avviati importanti scavi archeologici che fanno intravedere i resti di una preesistente villa romana, un cimitero extra moenia di epoca medioevale e una doppia canala che da monte alimentava, con acque sorgive, la cisterna e gli orti intra moenia. L’Abbazia ha riaperto il 25 giugno 2024 ad un pubblico più vasto adottando tecnologie avanzate per la comunicazione e l’informazione didattica.